Una volta erano le voci di corridoio, se qualcosa stava per accadere, potevi esser certo che prima o poi qualche rumore trapelava. Veniva ingigantito e distorto, magari, ma ti faceva capire più o meno cosa stava per arrivarti addosso.

Poi c’è stato lo sviluppo, probabilmente non da tutti sostenibile nella sua velocità e dimensione, delle comunicazioni di ogni genere e grado, talché alle voci di corridoio non dà più retta nessuno.

Piuttosto si scrutano i siti del gossip economico e sociale, si legge avidamente la propria posta elettronica in cerca di novità, e se il telefonino risulta afono per più di due o tre ore cominciamo a preoccuparci seriamente nel timore di essere tagliati fuori dalla bagarre informativa multimediale.

E c’è un problema serio, la salvaguardia dell’anglosassone privacy.

Che da noi non è ben chiaro di che si tratti, altrimenti l’avremmo chiamata in altro modo. Che da noi non è ben chiaro di che si tratti, altrimenti non potremmo leggere quotidianamente sul nostro giornale preferito ciò che accade nelle stanze dei bottoni, ma anche in quelle delle asole e delle crune degli aghi.

E c’è il timore che a qualche, diciamo così, amico venga in mente di comunicarci per telefono che nostra moglie sta altrove riversando i suoi amorosi sensi. Certe cose sarà meglio tornare a dircele faccia a faccia.

˝È il progresso piccola˝, direbbe l’eroe cinematografico, ˝e tu non puoi farci niente˝.